Page 8 - Inno: Il Gran Sasso d'Italia
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Appare  chiaro,  anche  ad  un  fugace  calcolo  semantico,  come  l’accoppiata  vicentiniana:
            cangiar cangiò sia diretta dipendenza di quella del Manzoni, ascose ascose, proprio quale
            comune esempio di “diàfora” piuttosto che di “antanàclasi” entrambe volte come sono, le
            due  forme  retoriche,  nel  comune  campo  della  ripetizione,  più  a  sottolineare  la  diversa
            sfumatura che gli identici lemmi assumono nel contesto del discorso che non l’espressione,
            nel medesimo contesto di un nuovo e perciò diverso significato.

            Per venire ora al “Cinque maggio”, quale fonte privilegiata dell’Inno al Gran Sasso, e per
            venire  nei  termini  più  sopra  specificati,  c’  è  da  dire  che  l’inno  del  Vicentini,  non  solo  è
            metricamente strutturato sull’ode manzoniana, ma di questa, utilizza anche un buon numero
            di lemmi oltre ad introiettare nelle sestine delle varie strofe che lo compongono, lo stesso
            spirito  di  quelle  del  componimento  del  grande  lombardo,  ora  utilizzandolo  quale  esso  è
            nell’illustre  fonte,  ora  servendosene  come  pure  s’è  detto,  quale  modello  strutturale
            rovesciato.

            Sul primo aspetto della questione vi è da rilevare solo come il metro manzoniano, eccezion
            fatta per il numero delle strofe che cresce nell’inno del Vicentini, di otto unità (26 strofe al
            posto delle 18 del “Cinque maggio”), si riversi praticamente in ogni suo aspetto sull’inno del
            poeta aquilano, le le strofe del quale inno finendo col presentare le medesime caratteristiche
            della  più  celebre  ode:  dal  fatto  che  le  strofe  sono,  in  entrambi  i  casi,  tutte  sestine,
            all’osservazione che i settenari di ogni sestina sono disciplinati secondo il comune criterio
            che vede sdruccioli senza rima il primo, il terzo e il quinto verso:

                                                Alpestre è il loco e l’aere

                                              Qui tutto è nuovo, e vergine

                                             Hanno un linguaggio insolito
                                                     (Inno, I,1,3,5)

            Piani a rima alternata il secondo e il quarto verso:

                                                 sopra una brezza pura

                                                     il riso di natura
                                                        (ivi, 2,4)

            Tronco il sesto verso:
                                                 l’acque, la terra, i fior
                                                         (ivi, 6)


            Che rima con il sesto, pure esso tronco, della seconda strofa:

                                                   fu muto spettator
                                                       (ivi, II,6).

            Circa i lemmi confluiti dall’ode e taluno anche dalla Pentecoste, all’inno vicentiniano mette
            conto  prestare  attenzione  non  tanto  all’aspetto  numerico  della  questione,  (nel  senso  di
            rilevare  quali  e  quanti  termini  dei  componimenti  manzoniani  siano  confluiti,  appunto,  in
            quello del Vicentini), quanto piuttosto di misurare come e in quale misura, il poeta aquilano


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