Page 6 - Inno: Il Gran Sasso d'Italia
P. 6
(5) Tra le altre cose osservate nella catena delle montagne vicine, non fu trascurata una
cava di lignite che si presentava a strati diversi, di poco e ineguale spessore, si tratta
del monte volgarmente detto Fornaca o della Fornace, che si eleva nella parte
orientale di Campo Imperatore e stabilisce l’ultimo confine dei possedimenti di casa
Medici, conosciuti in Abruzzo con il nome di Baronia. Sull’alta vetta del monte si dice
ci sia lo stemma Medicèo.
(6) Si allude alla delicata Myosotis nana del Willdenow- “Non ti scordar di me” degli
italiani. Unitamente a questa pianticella, vennero raccolte tante altre già conosciute
in quei luoghi, oggetto di una distinta esposizione, sulla sommità del Vado; come
pure la Gentiana nivalis, la Dryas octyopetala, con varietà a fiori mostruosi, la
Campanula graminifolia, caratteristica della regione alpina abruzzese, ed altre specie
vegetali.
(7) La sera del 26 luglio ci furono anche osservazioni astronomiche e meteorologiche con
cui si potè meglio godere lo spettacolo di una notte estiva su quelle montagne
d’Abruzzo, specialmente sul luogo in cui la brigata, alla mite temperatura di 10° C e
all’altezza di 1836 metri s.l. m., poteva tessere le lodi al Dio Creatore e Signore.
Interpretazione dell’Inno
“Il Gran Sasso d’Italia”
a cura del prof. Francesco Di Gregorio
Anche a partire da un solo testo si può cogliere, per dirla con Heidegger del saggio
sulla poesia di Holderlin, “l’essenziale dell’essenza” di una poesia. E si precisa e si tenga
bene in mente la precisazione: non l’ essenza della poesia ( che poi Heidegger ritenesse che
l’essenza della poesia fosse nella poesia di Holderlin è questione che qui non interessa), ma
l’essenziale dell’essenza di una poesia. Nel caso nostro: l’essenziale dell’essenza della poesia
di Mons. Augusto Antonino Vicentini.
Leggere “l’Inno al Gran Sasso” da questa postazione significa chiedere al componimento di
che dicesi, in che stia l’essenziale della poesia in generale del Vicentini, almeno nei modi in
cui l’essenziale dell’Inno confluisce nell’essenziale della poesia in generale del peta; e ciò di
là da ogni tentazione diacronica, qui e ora improponibile, sulla considerazione per cui esula
da ogni indagine di tipo testocentrico come questa, qualsiasi riferimento al come il Gran
Sasso si sia tramandato storicamente nella poesia ( e ognuno sa quanto sia ricca la storia
poetica del Gran Sasso) e al come l’inno vicentiniano si inserisca entro tale storia.
In che consiste dunque l’essenziale dell’essenza dell’inno vicentiniano, recitato
estemporaneamente dall’allora professore di letteratura del seminario do L’Aquila, la mattina
del 27 luglio 1875 sul Gran Sasso, ad alcuni colleghi ivi convenuti, per una escursione, e
pubblicato nel 1886 sulla “Palestra Aternina” (periodico religioso scientifico e letterario di
Aquila degli Abruzzi, VI,1886, vol. III, fasc.9) dopo che aveva già veduto la luce su
“Efemeridi letterarie” italiane e straniere? La risposta al quesito è nell’individuazione di vari
“luoghi” e uso il temine –luogo- qui e altrove nella letteratura, in senso heideggeriano- che
strutturano il componimento e ovviamente nell’analisi di essi, a cominciare
dall’estemporaneità, che pure è indice per suo conto, di frequentazione assidua, da parte
del poeta, delle muse oltre che di propensione naturale al comporre versi, per finire con la
6