Page 15 - Piero Gasparini - La "mia" Bolivia
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fastidioso: ma ai tropici, in estate, che ci aspettavamo? Ore di sobbalzi. Poi

       un centro abitato, le case sono ancora in muratura: è Montero. Mangiamo,

       si fa per dire. Ho una paura matta di prendermi subito qualche malattia,

       anche se a Verona, prima di partire, ho voluto una serie intera di punture e

       di pasticche. Preferisco bere. Birra. È tappata e fresca. Passiamo da San

       Josè. La pista si restringe sempre di più. Non incontriamo altro che

       polvere, “camiones” che portano soia e canali d’acqua ai lati. Le macchine

       fotografiche sono sempre pronte: anaconda, pitoni, tigri. Pensiamo di

       vedere tutto noi. Le suore ci sorridono bonariamente. Ci accorgiamo di

       essere dei perfetti turisti, per la verità anche dall’abbigliamento.

       Incontriamo campesinos a cavallo, incontriamo mucche e tante, tante

       buche. Ma nessuno si lamenta, naturalmente. Meno male che la “strada” è

       percorribile. Quando piove, e piove tutti i giorni, spesso scompare. Avremo

       modo di accorgercene al ritorno. Si fa paurosamente buio, troppo presto.

       Eccoci a Sagrado Corazon. Una pausa e conosciamo Padre Dante

       Invernizzi. È lui il vero “scopritore” di queste zone. E ce lo racconta.

       “Venti anni fa qui era un’immensa foresta. Ora vi sono i trattori. Da qui ad

       Hardeman un sentiero e diciotto ponti da attraversare”. Ma per noi, se non

       si mette a piovere forte, la pista c’è e riandiamo in macchina tra una buca

       e l’altra. Padre Remo era sempre in bicicletta, anche per necessità. Non

       aveva macchina, e comunque ad Hardeman, nostra meta, la macchina non

       entrava di certo. Ci arriviamo, ad Hardeman: 1800 persone, centinaia di

       capanne, due o tre luci. La corrente elettrica è arrivata da pochi mesi.

       Hardeman nasce dal niente, da un’inondazione del Rio Grande a 60

       chilometri da lì, che cancella villaggi e fa sì che gli indios abbiano un

       pezzo di terra per costruirvi una capanna. Ma una terra che non è mai di

       loro proprietà. E padre Remo ha lottato dal 1975 al 1986, qui, undici anni

       per dare la proprietà ai campesinos. E si è anche dovuto nascondere nella

       foresta per questa sua lotta. Lo andavano cercando quei latifondisti

       proprietari in media di 500 ettari, quando gli indios non hanno nemmeno






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