Page 7 - Piero Gasparini - La "mia" Bolivia
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Tutto, ad Hardeman, parla di Padre Remo: le aule scolastiche che lui
ha costruito (prima della chiesa); i locali d’incontro (l’oratorio); la chiesa
stessa; la piastra polivalente, come la chiamiamo noi qui in questi nostri
paesi “civili” per la pallacanestro ed il calcio; la casa delle suore
missionarie. Di più, in muratura, non gli serviva fare, soprattutto non
serviva ai campesinos per i quali ha vissuto ed è morto.
In ogni capanna non il ritratto della Madonna o del Signore: c’è il
ricordo di Padre Remo, una sua fotografia con in mano un piccolo, con le
mani sulle spalle di un amico, di un collaboratore. E dove non c’è
fotografia, la sua immagine è nel cuore degli indios, di tutti, senza
distinzione.
Sono oggi 1700 quelli che abitano ad Hardeman, in quelle capanne
dove non c’è, normalmente, distinzione fra le persone e gli animali, dove
si mangia e si dorme per terra, dove un luogo per i bisogni corporali non
c’è e soprattutto non è distante che pochi metri dagli spazi dell’esistenza
giornaliera.
Sono molto buoni, molto generosi, molto rispettosi, sono molto sereni
questi indios. Molti frutti del lavoro, dell’insegnamento di Padre Remo
cominciano a vedersi, sempre di più e li abbiamo constatati, anche dal
punto di vista dei diritti da rivendicare e da pretendere nei confronti della
società, del Governo, che li ignora totalmente, volutamente o meno: non lo
diciamo certo noi, anche se, scritta sui pochi pezzi di muro esistenti, non
mancava la propaganda politica.
Là, ad un doppio centinaio di chilometri da Santa Cruz de la Sierra,
grossa città boliviana la cui regione confina con il Brasile ad est e
l’Argentina a sud, si è consumata nella disponibilità totale verso gli altri la
vita di padre Remo. Ecco perché, quand’era in Valle Trompia, non ne
parlava troppo: le parole servivano a poco. Alle opere bisognava pensare.
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