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Inno del Cofondatore Mons. A.A. Vicentini Sol questa roccia immobile
“IL GRAN SASSO d’ITALIA” Stette all’altrui ruina,
Un’escursione del 26 e 27 luglio 1875 salda colonna e guardia
Pubblicato in Palestra Aternina L’Aquila alla region Vestina;
Fasc. 9 del 30 settembre 1886 agli Aprutini popoli
novelle sorti aprì.
Alpestre è il loco e l’aere
spira una brezza pura: O figli dell’Enotria,
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qui tutto è nuovo, e vergine il vostro Oeta è il monte:
il riso di natura: voi lo vedeste incolume
hanno un linguaggio insolito fra tanti danni e onte,
l’ acque, la terra, i fior. scoglio all’ardire, e all’ansie
di chi salir nol può.
Gigante ardito innalzasi
fra queste rupi un sasso, Non udrà più di barbari
dove già tanti impressero dai nostri giochi Alpini
l’ orme di lento passo, scender torrenti, e il valico
e di sessanta secoli spiar degli Appennini:
fu muto spettator. Goti, Ostrogoti e Vandali,
l’ora per voi suonò.
Unico, altero, immobile,
dalle canute chiome Oh! Fosse qui Simonide,
non isdegnò d’Italia come in Antèla un giorno,
l’invidiato nome, quando alle rupi Tèssale
né per cangiar di secoli sposava un inno intorno:
l’avito onor cangiò. s’udrebbe insiem congiungere
l’Italo al Greco onor!
All’urto, al cozzo, al sibilo
di furiosi venti Ei qui vedrebbe un provvido
saldo rimase e indomito, Schermo agli altrui furori,
pugnò cogli elementi, or che la scienza al genio
il lampo, il tuon, la folgore parla de’ suoi cultori,
a piedi suoi frenò. e le dovizie svelane
all’occhio scrutator. (5)
Tra nubi ascose il vertice
nei lunghi giorni e brevi, Ah! Invan tu cerchi asconderti
si avvolse fra le nebbie, dei saggi al vivo sguardo!
si ricoprì di nevi, O vette del Cenisio,
or dispettoso, or avido e del lontan Gottardo,
di rivedere il sol. voi testimoni ai posteri
di ben locato ardir!
Ed il rivide sorgere
Lieto fra l’ore ancelle, Superbe inaccessibili
sereno imperturbabile Ergean le creste al cielo!
risalutò le stelle, Ecco ad un tratto frangersi
ed addestrò dell’aquile Il duro, eterno gelo,
l’audace acume e il vol. e nuova forza indomita
l’oscuro seno aprir!
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Dell’acque al roco murmure
del gufo ai tetri lai, Ecco ogni diga abbattesi,
nei foschi giorni e trepidi, e quella è sol potenza,
non paventò giammai, dove penetra l’alito
vero presagio e simbolo e il fuoco della scienza;
di antiche e nuove età! vinto è dal genio il fulmine
che l’arte incatenò!
Sentì da lungi fremere,
infuriar due mari, E lo costrinse a fendere
quasi il Tirreno e l’Adria I monti e l’oceano,
ne’ loro flutti amari e ad una corda magica
tentassero sommergere fidar l’accento umano,
le italiche città. lo spinso oltre l’Atlantico,
chiamollo e ritornò.
Scosso nel suol Trinacrio
sentì l’Etna lontano, E forse un giorno stridere
e del Vesèvo vittime di fuoco una corrente
Pompei e d Ercolano, udrem tra queste viscere,
ed il Pelòro e il Volture quasi fucina ardente,
mugghiar tremanti udì. che nuovo schiuda un tramite
fra l’uno e l’altro mar.